Questo quanto emerge dal dossier sul lavoro povero e disparità retributive elaborato dal sindacato Uil Lazio e dall’istituto di ricerca Eures.
Se storicamente i lavoratori della regione percepivano stipendi più elevati della media nazionale, adesso lo scarto è quasi nullo (74 euro, contro i 1.336 euro del 2011) e potrebbe addirittura azzerarsi durante l’anno in corso raggiungendo, se la dinamica rimane invariata, importi medi al di sotto del valore nazionale.
“Un peggioramento – commenta il segretario generale della Uil Lazio, Alberto Civica – frutto anche di una struttura produttiva non in grado di competere nei campi dell’innovazione e della digitalizzazione, di un’economia non sostenuta da efficaci politiche di sviluppo industriale, da investimenti pubblici di valenza strategica né da una capacità di attrazione degli investimenti esteri e da un sempre maggiore ricorso all’occupazione precaria e stagionale, a discapito di quella stabile”.
I dati Inps relativi al periodo 2016-2021 evidenziano infatti come, a fronte di un complessivo incremento di 130 mila lavoratori del settore privato nel Lazio, si registri una impennata (+30% in cinque anni) di lavoratori che percepiscono compensi inferiori a 5 mila euro annui e un consistente incremento di quelli tra 5 mila e 10 mila euro:
complessivamente, dunque, i lavoratori dipendenti con retribuzioni inferiori a 10 mila euro arrivano a rappresentare un terzo del totale (33,0%), contro il 29,5% del 2016.
Stabile invece il numero di lavoratori con retribuzioni comprese tra 10 e 20 mila euro che rappresentano circa un quarto del totale dei lavoratori dipendenti del settore privato del Lazio (quasi 400 mila unità).
Nell’ambito delle disuguaglianze, spicca la differenza di genere: i compensi percepiti dalle donne sono di 6,5 mila euro inferiori a quelli degli uomini. Squilibrio non interamente attribuibile a trattamenti differenziati a parità di lavoro/qualifica, ma dovuto soprattutto alla differente incidenza dei contratti part-time che, nel Lazio, nel 2021, coinvolgono quasi la metà delle lavoratrici del settore privato (48,7%).
Sono soprattutto i giovani a pagare il prezzo più alto della crisi. Le retribuzioni crescono infatti con l’aumentare dell’età anagrafica attestandosi su valori inferiori ad un terzo della media regionale tra gli under25enni (6.845 euro annui nel 2021 contro 21.942).
Anche tra i cosiddetti “middle young” (25-34
anni) – dove la quota di dipendenti che ha lavorato per meno di 3 mesi raggiunge il 19% e appena poco più di un lavoratore su tre ha percepito almeno 12 mensilità – i compensi si mantengono al di sotto della media regionale, raggiungendo i 15.627 euro annui.
