Si riparla di diesel e benzina. E non perché il costo del diesel, dopo sei mesi, sia tornato al di sotto di quello della benzina. Soprattutto perché c’è l’ok definitivo del Parlamento Europeo sullo stop alla vendita delle auto inquinanti, dei veicoli a motore termico alimentati a benzina, o a diesel. La norma, in Assemblea plenaria, ha ricevuto 340 voti favorevoli, 279 contrari e 21 astenuti.
Il testo approvato dagli eurodeputati fissa l’obiettivo di azzerare le emissioni di auto nuove e furgoni in vendita nell’Ue dal 2035. I veicoli a benzina o diesel andranno dunque sostituiti con le alternative a zero emissioni, come l’auto elettrica. Il provvedimento fa parte del pacchetto “Fit for 55” per il dimezzamento delle emissioni inquinanti nell’Ue entro il 2030.
La rivista Quattroruote sull’approvazione in via definitiva del Parlamento alla transizione green del settore auto vietando la vendita di veicoli con motori a combustione interna, avverte che la vicenda va inquadrata nella sua completezza. “Si è trattato, infatti, di un voto in seconda lettura (è bene rimarcarlo), mentre i passi principali, questi sì epocali, sono stati fatti l’anno scorso. In sostanza, la giornata di martedì scorso non è stata altro che una formalità nel percorso che porterà all’adozione delle nuove normative europee”.
Che cosa è successo
Partiamo dall’inizio: verso la metà di luglio del 2021, la Commissione europea presenta le sue proposte per la decarbonizzazione dell’economia europea e la lotta ai cambiamenti climatici. Si tratta del pacchetto di misure “Fit for 55”, che include lo stop alla vendita di veicoli endotermici per il 2035. Il testo viene sottoposto prima all’esame delle commissioni parlamentari, che apportano alcune modifiche come la deroga per i piccoli costruttori (l’emendamento viene subito definito “Salva-Motor Valley”) e poi all’Europarlamento. Quest’ultimo, non senza qualche spaccatura interna ai partiti, approva il testo in prima lettura con 339 sì, 249 no e 24 astensioni. Quindi, la proposta diventa oggetto del cosiddetto “trilogo”, il processo di trattative formali e informali tra i vari organismi europei. Il primo passaggio riguarda il Consiglio Ue, che alla fine di giugno 2022 trova con lo stesso Parlamento un accordo “provvisorio e politico”, ma aggiunge tutta una serie di modifiche al testo ed è questo a essere stato votato ieri dall’Europarlamento, con voti quasi identici a quelli della prima lettura (340 voti a favore, 249 contrari e 21 astensioni), a dimostrazione di come un ribaltone fosse quasi impossibile. Sarebbe stata questa la notizia da prima pagina, non il voto (scontato) di ieri.
Ma la partita è ancora aperta perché ci saranno ulteriori passaggi tecnici da espletare. Il testo dovrà essere approvato in via formale anche dal Consiglio europeo e, solo in caso di via libera (da considerarsi anche questo scontato), potrà essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione, facendo così partire il processo di adozione stabilito dai trattati europei.
Si potrà tornare indietro?
Il treno verso la mobilità elettrica è ormai partito ed è difficile pensare che alcuni Paesi, soprattutto quelli del Nord Europa, possano decidere per un dietrofront. C’è, però, un aspetto da non sottovalutare: rispetto alle proposte originarie della Commissione europea, il testo include una serie di modifiche sostanziali, tra cui l’apertura a un approccio più improntato alla neutralità tecnologica e a un maggior pragmatismo. Quattroruote lo ha sottolineato: il futuro dei motori a combustione non è ancora scritto nero su bianco, visto che tra tre anni ci potrà essere un “ultimo appello”. La Commissione, infatti, dovrà valutare “i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% e la necessità di riesaminare tali obiettivi tenendo conto degli sviluppi tecnologici, anche per quanto riguarda le tecnologie ibride plug-in e l’importanza di una transizione praticabile e socialmente equa verso le emissioni zero”.
C’è uno scoglio politico? Le prossime elezioni europee cambieranno qualcosa?
Diversi emendamenti sono stati voluti da alcuni specifici Paesi, come l’Italia e la Germania, che hanno spinto per includere la possibilità di valutare anche tecnologie alternative all’elettrico come l’idrogeno o i biocarburanti. Del resto, nelle nazioni di maggior tradizione automobilistica il dibattito sulla fine delle endotermiche ha portato, spesso e volentieri, numerosi politici – primo tra tutti il ministro delle infrastrutture e trasporti Matteo Salvini, contrarissimo allo stop del 2035 – a scagliarsi contro l’Europa per una scelta non priva di rischi, tra cui l’asservimento dell’industria automobilistica continentale alla Cina. Ecco perché non va dimenticato che nel 2024 sono previste le elezioni europee che potrebbero cambiare anche in modo significativo l’attuale composizione della maggioranza parlamentare e quindi della Commissione. Dunque, non è per nulla un caso la decisione di includere l’emendamento sul 2026, anche se, ed è bene metterlo in chiaro, un vero e proprio dietrofront, a oggi, è abbastanza improbabile: gli investimenti e i programmi per i prossimi dieci anni si decidono oggi, non certo domani.
Cosa cambia per i consumatori?
Non sono poche le Case ad aver già preso una decisione ben precisa: già nel 2030, tanti costruttori smetteranno di vendere del tutto diesel e benzina, cessandone la produzione. Ma non è detto che i consumatori dovranno necessariamente abbracciare la mobilità elettrica: con ogni probabilità, nei prossimi anni ci sarà un boom di endotermiche usate e magari ricondizionate, ancor di più se non si risolveranno gli attuali problemi della mobilità elettrica, tra cui il dispiegamento massiccio e capillare di punti di ricarica pubblici e il miglioramento, più che delle autonomie, dei tempi di ricarica.
Incentivi: sì o no?
Molto dipende dai progressi tecnologici e dagli investimenti delle Case, ma fondamentale sarà l’intervento pubblico, ovvero gli incentivi disponibili per questo cambio di passo. In Italia sono del tutto inefficaci a causa di una soglia d’accesso troppo bassa. Non a caso il mercato italiano è stato l’unico, l’anno scorso, a registrare un declino delle auto elettriche nel panorama europeo. Tuttavia, da alcuni Paesi arrivano segnali di un rallentamento dell’adozione delle Ev: è il caso della Norvegia, dove è bastato cancellare tutta una serie di agevolazioni per assistere a gennaio a un calo delle vendite, o quantomeno della quota di mercato. Oppure della Germania: sempre a gennaio, il taglio degli incentivi all’acquisto ha prodotto una contrazione delle immatricolazioni. Difficile pensare che gli Stati possano sostenere per anni e anni una politica di incentivazione, sarebbe folle per i conti pubblici. Detto questo, spingere la mobilità elettrica senza incentivi, dati i costi ancora elevati delle vetture, è una partita persa.
I motori a combustione spariranno davvero?
E’ certamente la domanda che molti utenti si faranno. La risposta è abbastanza semplice: no, le tecnologie tradizionali non diventeranno certo cimeli da museo, ma di sicuro rimarranno confinati a un mercato di nicchia. Sono previste delle deroghe per i piccoli costruttori, chi produce dalle mille alle 10 mila unità l’anno potrà non rispettare i limiti fino alla fine del 2035. Inoltre, è prevista un’esenzione totale per chi ne produce meno di 1.000. Dunque, chi può già oggi permettersi una Pagani (la Utopia, nota precedentemente come C10 ed erede della Huayra, ha un costo a partire da 2,15 milioni di euro, tasse escluse) o una qualsiasi hypercar potrà tranquillamente continuare a sentire i rombi dei motori con cilindri e pistoni. Per gli altri rimarranno solo sibili elettrici, sempre che l’Europa non decida di dare una chance ai biocarburanti.
Alessandra Binazzi